Ascesa e declino di un’azienda tessile

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La disciplina dell’archeologia industriale oggi studia le varie epoche attraverso i beni immobili (per esempio la tipologia degli edifici e le aree), quelli mobili (i macchinari e gli impianti), i prodotti, il materiale (sia grafico che documentale) e naturalmente gli uomini e le donne. Gode di credito crescente. Anche a Cordovado si potrebbe aprire un capitolo importante di un ipotetico manuale.

Esattamente sette lustri or sono, Bepi Stefanel rilevava proprietà e strutture produttive dell’ex Abital, trasferitasi nella Zona Ponterosso di San Vito nel 1973. L’arrivo della famiglia d’imprenditori trevigiani rappresentò il punto di svolta.

Era l’alba di una nuova era, dopo le fallimentari gestioni targate Huron, New Team e San Martino. Quell’avvento avviò un’età dell’oro, fino al malinconico epilogo con il passaggio alla Drop. Perché oggi, 35 anni dopo quell’acquisizione, della storica azienda tessile non resta più nulla. Salvo il ricordo dei tanti cordovadesi che dentro quella realtà hanno lavorato, tagliato, cucito, vegliato, sperato e pianto. In una parola: vissuto.

Tutto era cominciato con la Vittadello Confezioni, in via San Vito. Ancor oggi il vecchio e cadente edificio si affaccia altero sulla strada, quasi schiacciato dal peso dei suoi tanti inverni. I giovani non lo conoscono. Per i settantenni rappresenta ciò che ha fatto crescere l’antica Corte del guado, prima di emigrare a San Vito, spinto dal vento di una politica economica rivelatasi miope alla prova dei fatti. Il padovano Sandro Vittadello, che i colleghi capitani d’industria definivano con disprezzo “comunista”, si era fatto da solo. Per lui dare lavoro era prima di tutto una missione sociale. A Cordovado la sua azienda arrivò ad assumere, in un crescendo da boom economico del Dopoguerra, fino a 450 dipendenti. Si può ben dire che il microcosmo industriale locale coincidesse con quello del borgo castellano.

La cessione all’Abital e il successivo trasloco a Ponterosso, al culmine di una lunga battaglia che a Cordovado creò due fazioni (spezzando antiche amicizie, rapporti personali e sezioni di partito), spensero per sempre la vecchia magia. Cominciarono l’assenteismo, i tagli, i mugugni, la cassa integrazione, le paghe non riscosse, la paura del futuro. I 486 dell’inizio si dimezzarono. Per fortuna, pilotati da Friulia, arrivarono gli Stefanel. Presero in mano la situazione, ricominciando a investire e a riassumere. Ci fu anche chi, avendo cominciato da operaio nel turno di notte, si ritrovò a scalare le posizioni fino a diventare dirigente. Come nel bel sogno americano. Ma non sempre le storie di archeologia industriale hanno il lieto fine.

Nel 1996 c’è un’altra crisi. A metà del febbraio ’97 l’impresa di abbigliamento e maglieria diventa Drop, una filiazione della Fibam. Il fatturato di gruppo è di una decina di miliardi di lire. In fabbrica rientrano subito 25 degli 87 dipendenti presenti al momento della dismissione degli Stefanel, con l’obiettivo di arrivare a quota 65 entro dicembre. La Friulia partecipa a Drop con un 30% del capitale. Si conferma la mission nel settore della tessitura, in particolare con maglioni norvegesi e casacche da baseball. Il 98% della produzione viene esportata, con la Francia grande cliente. I Bordenga puntano sul mercato di qualità e non sulla delocalizzazione nei nuovi paradisi dell’Est.

Non dura. Poco più di un anno dopo, in un Consiglio comunale affollatissimo a San Vito, viene sancita la fine. Emanuele Iodice, segretario provinciale della Cgil, illustra la posizione unitaria dei sindacati. «Gravi errori di carattere commerciale – segnala -, uniti al mancato rispetto del programma aziendale, hanno portato a una situazione finanziaria gravissima. Non vi è stata un’azione di tipo speculativo. Siamo invece di fronte a un insuccesso imprenditoriale clamoroso e repentino. Contestiamo la decisione della proprietà di mettere in liquidazione l’azienda, poiché ciò finisce per accelerare in modo drammatico i tempi per trovare una nuova soluzione».

Tutti i gruppi consiliari esprimono la loro solidarietà ai lavoratori e manifestano “il massimo impegno in proposito”. È il canto del cigno. Oggi, in memoria di quell’esperienza storica, restano soltanto dei locali vuoti. Sarebbe bello, e qui lanciamo un appello ai cordovadesi, che chi ha lavorato per la Vittadello-Abital-Stefanel ricordasse con una lettera al giornale la sua esperienza. Perché almeno non si perda la memoria.

Pier Paolo Simonato

 

Chi ha lavorato per la Vittadello-Abital-Stefanel e vuole ricordare la propria esperienza può inviare una lettera alla redazione del Curtis Vadi recapitandola in Biblioteca (manualmente o via posta) o attraverso il sito web www.curtisvadi.org.