L’umanità del filosofo

Parcheggiava la macchina, prendeva la borsa con i libri ed entrava in biblioteca. Una sequenza quotidiana di gesti semplici. Si fermava nella sala che accoglie le discipline scientifiche e cominciava a studiare, per poi meditare e rielaborare. Andrea Romio era un filosofo. Laureato all’Università di Trieste con una tesi sul concetto di possibilità sviluppato da Nicola Abbagnano, è stato allievo di Pier Aldo Rovatti, pensatore di levatura internazionale. E proprio sui tavoli della biblioteca nascevano i suoi scritti, come risultato di speculazioni intellettuali cui si dedicava con scrupolo e rigore, e con lo sguardo rivolto alla condizione umana, della quale esplorava limiti e aspirazioni.

Era animato dalla passione per la ricerca, che ha saputo trasmettere con successo al nipote Luca, ora docente di ingegneria aerospaziale all’Università del Texas, nonchè leader di progetti finanziati dalla NASA sulla propulsione dei veicoli spaziali. Il papà, Raffaele, lavorò a lungo come barbiere nella bottega di via Battaglione Gemona. Dispensatore di umanità, Andrea aveva occhi sempre pronti ad accendersi di curiosità verso la realtà e le persone, di ironia quando scherzava, o anche di sdegno, come gli capitava talvolta scambiando impressioni sulle traversie politiche ed economico-sociali del nostro Paese. Amava la conoscenza e l’intelligenza, in tutte le sue forme, detestava l’ipocrisia e l’arrivismo. Oltre alle riflessioni di natura filosofica era solito comporre brevi poesie, ulteriore tratto di sensibilità.

E’ rimasto nei ricordi di tanti, per i quali è stata una ricchezza averlo conosciuto, averlo perso un dolore. Se n’è andato a 39 anni, in un giorno di fine maggio, dieci anni fa. Era un lunedì di una tarda primavera assolata e calda, che sembrava ormai preludere all’estate. L’estate 2003, quella dell’afa permanente, delle temperature da record. Però che freddo, quel giorno, come un autunno calato d’improvviso.

Antonio Costantini