Da Curtis Vadi a Borgo più Bello

Chi si ricorda il nostro paese “fuori dal mondo”? Intendo in quegli anni che subito dopo la Seconda guerra mondiale restituivano una pace finalmente sicura e un progresso lento ma inesorabile? Noi studenti negli anni ‘60 andavamo a scuola a San Vito, a Portogruaro, a Pordenone, a Udine e quando camminavamo per i centri di quelle cittadine ci sembrava di stare lontano centinaia di chilometri, là la vita si ammodernava velocemente, il fermento sociale e civico era un incendio che divorava quel residuo medioevale che ancora persisteva in alcuni aspetti etnici.

Quando rientravo a Cordovado la mia sensazione era che ci aspettava un pacato torpore, un ritmo lento e rassicurante, un borgo fiero del suo incantato isolamento? No di certo! Noi giovani avevamo una pulsione rivoluzionaria che ci ha portato a organizzare il giornale Curtis Vadi, il Cineforum, a scendere nelle piazze per chiedere rinnovamento e democrazia ma Cordovado continuava a scandire ritmi blandi, la ferrea tradizione avvolgeva ogni ambito, luoghi comuni si affrancavano, le gerarchie erano rispettate. Eppure, lentamente, inesorabilmente, con il mutare delle generazioni si allentava quel rigido bavaglio, con la scolarizzazione anche delle classi più povere, la sindacalizzazione del lavoro, la ventata di nuove frontiere ideologiche che si ispiravano a Martin Luther King, John Fitzgerald Kennedy, Gandhi e incidevano sulla cultura e sulla mentalità, sul modo di concepire la libertà di pensiero.

Mi chiedo quando, in che anno tutto questo è esploso, in quale circostanza il nostro splendido paese ha iniziato a decollare, a prendere il vento di un nuovo futuro. Ricordo quando nei primi anni ‘70 si è iniziato a trasformare il tessuto urbano, ristrutturando, cambiando volto agli edifici. Una immagine su tutte, la palazzina Acco al posto della vecchia caserma dei carabinieri, prospiciente la curva Covassin. Iniziava a prendere forma una modernità ancora inconsapevole. Ma poi ci vollero una serie di amministrazioni comunali sensibili e attente che portarono effettivamente Cordovado nella sfera della globalizzazione.

Sì, penso che dal 1980 quel residuo di civiltà ottocentesca si sia dissolto per innescare un processo di sviluppo e di ammodernamento che ha proiettato il nostro paese a diventare uno dei “borghi più belli d’Italia”. Non trovo ovviamente un avvenimento in particolare, tutti sappiamo che queste dinamiche sono impercettibili, difficilmente eclatanti, i miei amici mi rimproverano di non indagare nei miei scritti le fasce più deboli ma ovviamente ognuno di noi ha il suo habitat politico, ideologico per cui scrivo inconsciamente delle priorità a me vicine.

Sì, sicuramente gli operai che hanno lavorato alla Zanussi, alla Savio, i pendolari che andavano a Pordenone avranno sviluppato una maturità politica e sindacale che spingeva verso una società più equa, come gli studenti che nelle assemblee si confrontavano con le ideologie rivoluzionarie, ma c’è sicuramente altro.

Nel mio ricordo, piccole cose hanno catalizzato il processo di modernità: dal ciclostile di don Paolo Brunetti, alla radio Onda Alternativa, l’emittente di Gino Bertoia in piazza Tiglio, il club di radio amatori CB di Piero Dorigo, perfino quel primo ingranditore di fotografie di Walter Mar- zin che ci ha consentito di stampare le fotografie in bianco e nero da incollare sul Curtis Vadi, le cooperative edilizie che ci hanno fatto scoprire metodi di solidarietà sociale, insomma un passo alla volta il processo non si è più fermato.

Cordovado è cambiata grazie a persone che con determinazione e coraggio hanno operato con costanza nell’etica, con onestà, nell’esempio da instillare, uomini o donne che sono stati la linfa per il cambiamento. Alcuni nomi mi vengono spontanei, per la carica umana espressa, per l’altruismo innato, per la generosità data, per la grande sensibilità culturale, per quel senso civico che sento mio adesso più che mai. Grazie a Gigi Leandrin, a Gigi Duz, a Pino Pinni, al veterinario Tomat, al medico Galassini, alle suore dell’Asilo Infantile, alle maestre Bazzana, Asquini, Sbaiz, Calipa, al nostro oratore e pastore don Aldo Pagnucco e… consentitemi, con estrema modestia, un grazie a mio padre Tarcisio, che ha interpretato come un traghettatore dantesco la gioventù di quegli anni di fermento e di trasformazione, in cui ho imparato l’onestà intellettuale. Grazie maestri per averci accompagnati per mano.

Roberto Zanin