Confidenze di una sera di maggio

Pubblicato in Bacheca

Sera mite di maggio, sopra l’erba del campo tagliata di fresco le lucciole insistono nei loro voli spericolati. Neanche l’imponente viavai di auto e camion lungo la vicina Statale riesce a spaventarle. È il 1983. Poco più in là, sotto il portico di casa, il dirigente calcistico allarga le braccia di fronte al suo interlocutore. «Metti via il taccuino – ammonisce – e ti anticipo tutti i movimenti di mercato che faremo, chi andrà via dalla Spal e chi arriverà. Ci saranno delle belle sorprese. Però prima di scriverlo devi aspettare qualche giorno, non voglio che i ragazzi lo sappiano dal giornale. Prima di ogni altra cosa è giusto discuterne con loro, capire come la pensano». Il corrispondente da Cordovado del quotidiano triveneto per eccellenza si stringe nelle spalle: avere l’esclusiva delle notizie, in fondo, può valer bene un pizzico di ritardo nell’uscita del “pezzo”. L’importante è “bucare” la concorrenza al momento giusto.

L’interlocutore ero io, il dirigente era Mario Odorico.

 Il ricordo è nitido, come se da allora non fossero passati 26 anni. Una vita. Mario se n’è andato a fine estate, dopo una malattia implacabile, affrontata sempre con orgoglio, speranza e grande dignità. A salutarlo c’era una folla, che il Duomo quasi non è riuscito a contenere. Aveva 65 anni. Da 12 era in pensione, dopo aver lavorato come autista dell’Atap. Ha offerto un contributo tanto importante quanto silenzioso allo sport e al sociale del paese. Da sempre innamorato del pallone, è stato vicepresidente con funzioni di ds negli anni difficili della ricostruzione, dal 1982 all’85, ma è rimasto in società da volontario per oltre 20 anni, dando una mano (e spesso due, senza mai chiedere nulla in cambio) ai presidenti Bariani, Carlin, Dorigo e Vernier. 

Per ricordarlo, i “canarini” hanno giocato in Coppa Italia con il lutto al braccio. «Abbiamo perso un grande amico, una persona stupenda – lo ha descritto in pochi tratti Emanuele Bravo, il presidente di oggi -. È anche merito suo se il nostro sodalizio può vantare basi così solide». Poi il nuoto, lo sci, la bicicletta e l’Inter. Ha lasciato il figlio Massimo, la moglie Renza e un’eredità significativa: prima di ogni atleta c’è una persona. Non dimentichiamolo mai.

Pier Paolo Simonato