Impressioni di uno scorcio fiabesco

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Dall’immagine nella fotografia, scattata tre inverni fa, ho preso spunto per raccontare un evento passato accaduto nella primavera del 1945. I protagonisti? La signora Luigia Rusconi e mio padre Nicola Monopoli. Il teatro della vicenda: le mura del convento in via Santa Caterina, vicino alla porticina secondaria di accesso al brolo di palazzo Cecchini.

La signora Luigia Rusconi era la vedova di Polidoro Fabris, da cui il soprannome di “siora Polidoro” con cui era nota. I Fabris erano i possidenti che verso il 1870 avviarono il cotonificio di Bagnara, per un secolo fonte di lavoro per molti cordovadesi. Abitavano nel palazzo presso la curva “Covassin” che oggi è chiamato “palazzo Cappellari”, dal nome degli ultimi proprietari.

La “siora Polidoro”, dopo la morte del marito nel 1913, risiedeva in affitto in una porzione del palazzo Cecchini e aveva la disponibilità dei terreni, arativi con vigna, compresi fra le mura del convento dei frati domenicani. Mio padre Nicola, impiegato del Comune di Cordovado con la qualifica di “messo scrivano”, aveva l’incarico di recapitare le comunicazioni comunali ai compaesani. Una sua caratteristica, si muoveva sempre a piedi.

IN PERICOLO

Nel 1945, ultimi mesi della seconda guerra mondiale, l’occupazione tedesca era durissima e frequenti erano i rastrellamenti di uomini, giovani e anziani, senza distinzione, per poterli impiegare nei lavori di opere militari aldilà del fiume Tagliamento.

In una tarda mattinata mio padre, svolte le mansioni a Saccudello, si dirigeva verso casa percorrendo via Santa Caterina quando sopraggiunse un conoscente che trafelato gli gridò: “Nicolin, scappa che i tedeschi portano via gli uomini…”. Un attimo dopo si defilò. Mio padre si trovava davanti alla porticina chiusa e non poteva correre, vincolato da una dolorosa ernia “strozzata”. Gettò la borsa dei documenti oltre le mura e le scalò risolutamente, agevolato dai mattoni sbeccati che consentivano di aggrapparsi con le mani e di appoggiare i piedi quasi fossero dei gradini. Scavalcò e si buttò giù con fracasso sugli arbusti dell’attuale parco. Era piegato in due per lo sforzo e il dolore, quando potè udire la voce spaventata della signora Polidoro proprio in quel punto, accanto al rifugio antiaereo celato dalla vegetazione.

IL DIALOGO

Tra i due ci fu un dialogo concitato. “Ahimè, chi è quest’uomo che cade dal cielo?”, disse lei. E lui, sbucando dal canneto: “sono io, signora, Nicolin Monopoli, sto scappando dai tedeschi”. “Ah, signor Nicola, venga, che la nascondo”. E così fece. Cessato il pericolo, una volta tornato a casa, mio padre raccontò con un sorriso la reazione della signora, atterrita quanto lui. L’anno dopo, nel 1946, fu operato dall’ernia all’ospedale di San Vito, dall’allora famoso chirurgo Sestilio Gabrielli, e potè camminare speditamente per il resto della vita.

LE MURA

Originariamente le mura incominciavano dalla chiesetta di Santa Caterina e fiancheggiavano l’omonima via per arrivare all’altezza dell’abitazione dgli Ambrosio, poi piegavano ad angolo retto dietro agli orti fino a casa Magistris, sulla piazza della latteria, e si collegavano al portone in ferro adiacente al fabbricato ECA, laterale al Municipio.

La prima parte delle mura fu abbattuta nel 1948 circa, per lasciare spazio alla costruzione delle case a schiera conosciute come “case Fanfani”. Il resto, dopo la morte della signora Rusconi nel 1957, per erigere la caserma dei carabinieri e lottizzare l’area con le nuove strade, via del Brolo e via Nuova.

I trecento metri del tratto murario che ancora resistono all’usura del tempo e all’incuria, in via Santa Caterina, sono in condizioni precarie e necessiterebbero di un serio intervento conservativo. Il loro destino è segnato. Non ci sono soldi e, prima o poi, sarà molto più semplice abbatterli per allargare la strada e ricavare parcheggi. Spero di sbagliare.

Mario Monopoli