La quotidianità come arma

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Gli attentati terroristici perpetrati il 13 novembre a Parigi dal fanatismo islamista ci hanno lasciati sgomenti, spaesati, impauriti.

Abbiamo provato dispiacere profondo ma anche rabbia, per quelle vite stroncate da un’azione infame, disumana per quanto è umano ricercare lo svago nel cuore di un venerdì sera – ascoltando musica, allo stadio, al ristorante – dopo una settimana di lavoro o di studio. Adesso continuiamo a porci domande. Come agiranno i governi per evitare nuove minacce alla sicurezza pubblica? Più risorse alle forze dell’ordine? Più intelligence? Come sconfiggere l’ISIS? Quali mezzi e strategie metteranno in campo le coalizioni e gli organismi sovranazionali? E soprattutto: qual è il rischio che tutto accada di nuovo, come le altre volte, alle diverse latitudini? Il problema è terribilmente complesso, e risposte a portata di mano non ce sono. Non ce ne possono essere, nell’impossibilità di una riforma dei cervelli dei fondamentalisti. Ma, come ha scritto qualche commentatore, se la guerra militare al jihadismo è in corso, ed è affare da aviazione, tecnologie sofisticate, polizia e servizi dei Paesi coinvolti, quella psicologica la si combatte tutti insieme: con la banale normalità della quotidianità, “intessuta di tolleranza e svago, lavoro e divertimento, solidarietà e differenze”. Riaffermando continuamente, ogni giorno, le nostre libertà.