Il racconto. Uscite un po’ troppo libere

Ho fatto il militare a Pontebba nel 67-68, in totale 15 mesi esatti. In quel periodo suonavo in un complesso e portai la batteria in caserma per esercitarmi. Venne a saperlo il mio comandante, che volle comprare un tamburo per farmi accompagnare i militari in marcia alla messa delle 7 della mattina. Per arrivare alla chiesa dovevamo passare lungo tutto il paese, e gli abitanti, non contenti per il frastuono a quell’ora, protestarono. Per dispetto, il maggiore fece acquistare altri tre tamburi e mi ordinò di insegnare ai miei commilitoni a suonarli. La domenica successiva ci presentammo con quattro tamburi.

Per la festa di Santa Barbara, protettrice dell’artiglieria, mi chiese di portare il mio complesso a suonare per il veglione. Accettai a una condizione: che mi facesse rientrare a casa 15 giorni per avere modo di fare le prove. Fu d’accordo. Finita la festa, riportai a casa gli strumenti e ne approfittai per stare a casa altri 15, giorni fino a quando mi telefonò per sapere se avessi intenzione di rientrare in caserma. Quello fu l’unico periodo bello della naja. 

Crediti: Ulderica Da Pozzo 

Ho fatto il campo invernale, che consisteva nel portare i pezzi dell’obice (cannone), dentro a delle barchette di ferro, in totale più di cento chili l’una, e attraversare le montagne piene di neve. Dopo una settimana, scendendo dalla cima, in due dovevamo reggere e trasportare queste barche con alcune corde, senza mai allentare la presa. Purtroppo, una coppia di commilitoni non riuscì a tenere la barchetta, che partì e dopo diversi metri colpì un militare sulla schiena. Fu ricoverato in ospedale in gravi condizioni e da quel giorno, fortunatamente, il campo fu sospeso. Invece ci fecero fare 20 giorni di campo estivo a Collina di Forni Avoltri e piovve sempre. Date le tende a disposizione, pioveva più dentro che fuori, ma con le iniezioni che ci facevano non prendevi neanche un raffreddore. Per altri 20 giorni andammo a sparare a Casera Razzo, in mezzo alle montagne. In quei giorni c’era la finale degli europei di calcio tra Jugoslavia e Italia, ma permisero solo a pochi di andarla a vedere. Per non perderla, in sei di noi prendemmo di nascosto una jeep e lasciammo le tende. Senonché, la partita finì con un pareggio, e per i regolamenti di allora doveva essere rigiocata due giorni dopo. Così, visto che la prima volta ci andò liscia, riprendemmo la jeep e uscimmo. Questa volta però fummo scoperti, e i comandanti ci aspettarono in tenda. Io, che ero l’unico graduato, presi 10 giorni di cella di rigore, 30 di camera semplice e 30 di consegna. Una volta ritornati dal campo, avrei dovuto dormire per 40 notti in prigione, e lavare marmitte per un mese. Invece, per fortuna, dopo pochi giorni arrivò l’amnistia, anche se alla fine dei 15 mesi feci 10 giorni in più. Anche questa era la naja ai miei tempi. 

Piero Dorigo