La forza del gruppo per contrastare la pandemia

Pubblichiamo un intervento del dott. Maurizio Tonizzo, cordovadese, responsabile dell’Area COVID-19 dell’Ospedale S. Maria degli Angeli di Pordenone e di tutta la provincia.

Lo scorso 25 aprile è stato insignito del premio San Marco, assegnato dalla Propordenone d’intesa con l’Amministrazione comunale di Pordenone ai cittadini della provincia che si siano talmente distinti nei vari campi dell’attività umana (arti, lettere, scienze, economia, sport, impegno sociale ecc.) da dare risalto al nome della città e della provincia stesse e da poter essere proposti come stimolante esempio soprattutto alle giovani generazioni. Il dott. Tonizzo è stato premiato per “la sua umanità unita alle sue straordinarie capacità professionali” (Premio San Marco) nel contrastare la pandemia.

Il 31 dicembre 2019 le autorità sanitarie cinesi segnalavano al mondo che, nella città di Wuhan (Provincia dell’Hubei, Cina), si era verificato un focolaio di una misteriosa ed aggressiva polmonite infettiva che presentava caratteristiche radiologiche singolari. Molti casi furono inizialmente correlati alla frequentazione del mercato di generi alimentari di Wuhan, dove si svolgeva la compravendita di animali vivi; inseguito si ipotizzò che alcuni animali selvatici fungessero da serbatoio naturale (pipistrello, pangolino). Gli esperti identificavano un nuovo tipo di Coronavirus, provvisoriamente chiamato 2019-nCoV, il quale aveva compiuto il salto di specie e attualmente presentava trasmissione inter-umana. L’11 febbraio 2020 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) annunciava la nascita del COVID-19 (Corona Virus Disease). 

Siamo quindi nell’inverno 2020 e nel frattempo, a Pordenone come nel resto d’Italia, i reparti medici affrontavano l’elevato afflusso di pazienti affetti dai virus respiratori stagionali, influenzali e parainfluenzali. Erano state tuttavia osservate, a partire da febbraio, alcune forme di polmoniti “insolite” che presentavano febbri altissime e marcato impegno polmonare interstiziale, simile a quello descritto nei casi di COVID-19 in Cina. Il 21 febbraio a Codogno ed il 22 febbraio a Vò Euganeo venivano diagnosticati i primi casi ufficiali di COVID 19 in Italia. 

Era la prima settimana del marzo 2020, ricordo benissimo: avevamo visitato un malato ricoverato la notte per febbre e polmonite; l’aspetto radiologico del torace presentava caratteristiche sospette, ma il nostro laboratorio non disponeva dei reagenti per i tamponi naso-faringei utilizzati per la diagnosi di COVID-19. I primi campioni vennero inviati al laboratorio autorizzato di Trieste, e risultarono positivi. Il paziente venne immediatamente posto in isolamento e quindi inviato con urgenza presso la Clinica delle Malattie infettive di Udine. 

Da quel momento i casi di positività aumentarono esponenzialmente e i due reparti della regione Friuli Venezia Giulia autorizzati ad accogliere i pazienti positivi (Clinica delle Malattie infettive di Udine e reparto degli Infettivi di Trieste) si saturarono in poco tempo. 

L’11 marzo 2020, l’OMS, alla luce dei livelli di gravità e diffusione globale dell’infezione da SARS-CoV-2, dichiarava che l’epidemia di COVID-19 poteva essere considerata una pandemia. 

A Pordenone, intanto, il venerdì 13 marzo ci trovammo in una drammatica situazione, con il Pronto Soccorso pordenonese affollato di pazienti sospetti ed i reparti di riferimento regionale nell’impossibilità di accogliere altri degenti. Decidemmo quindi, per far fronte all’emergenza, di aprire anche a Pordenone un reparto dedicato ai malati COVID, inizialmente allocato nella Degenza Breve Chirurgica, che disponeva di 30 posti letto; la mattina stessa venne tenuto un corso formativo per medici e personale infermieristico, il pomeriggio iniziammo ad accogliere il primo ricoverato e mi offrii per coprire la prima notte di guardia. Alcuni giorni dopo venne allestita una prima Terapia Intensiva COVID ed in seguito una seconda Terapia Intensiva e poi una sub-intensiva gestita da un team di rianimatori e pneumologi. In seguito, convertimmo la Medicina del terzo piano in reparto COVID per far fronte al crescente numero di ricoverati. 

Ma come trattare questa malattia? Era un virus a noi sconosciuto, altamente infettivo e con un tempo di incubazione al momento a noi ignoto; gli antibiotici non trovavano indicazione, né conoscevamo la risposta ai comuni farmaci antivirali; c’era inoltre la necessità di isolare i malati per prevenire la diffusione del contagio, così come la necessità di tutelare la salute degli operatori con presidi di protezione individuale (camici e calzari monouso, maschere, copricapo, doppi guanti). 

Ci sentivamo impotenti ed impreparati alla situazione, non avevamo mai visto una malattia così rapida ed imprevedibile ed essendo in prima linea dovevamo considerare la possibilità di essere contagiati, cosa che di seguito è avvenuta per la maggior parte di noi. I pazienti erano molto più numerosi di quanto avremmo potuto immaginare e presentavano elevata complessità per il grado di compromissione respiratoria. 

Con il prezioso aiuto del Dott. Roberto Bigai, come di altri validi Colleghi Anestesisti come la Dott.ssa Claudia Ambrosio, e senza dimenticare ovviamente il Primario di Anestesia e Rianimazione dell’Ospedale di Pordenone Dott. Tommaso Pellis, siamo riusciti a fornire supporto ventilatorio non invasivo in modo “artigianale”, modificando una maschera da snorkeling con l’aggiunta di una valvola ideata dai rianimatori di Brescia e realizzata con una stampante 3D. 

La prima ondata del COVID-19, rinominato in seguito SARS-CoV-2, fu violenta e con elevata mortalità; iniziò ad esaurirsi verso la fine della primavera, nella prima decade di giugno, lasciando il personale medico e del comparto spossato, provato dallo stress e dalla fatica fisica, ma carico di entusiasmo per i risultati raggiunti e per l’affetto e la riconoscenza manifestata dai pazienti, dai familiari e dalla popolazione. 

In autunno, con il mese di novembre, iniziava la seconda ondata. Avevamo già riaperto la Medicina al terzo piano per accogliere i pazienti COVID, ma i posti letto erano stati prontamente occupati. Il 6 novembre veniva aperta anche la Medicina del secondo piano e i pazienti internistici, negativi al SARS-CoV-2, venivano trasferiti al padiglione A. La Medicina dell’Ospedale di Spilimbergo veniva convertita in reparto COVID per i pazienti post-acuti, così come le RSA di Maniago e Sacile; la Medicina di San Vito coadiuvava nell’accoglimento dei pazienti COVID-free. A questi reparti va la mia gratitudine per l’enorme supporto che hanno dato in questa situazione di emergenza. 

La pandemia è una, ma le diverse ondate sono stati eventi di fatto diversi fra loro: se la prima ha raggiunto il suo picco in poche settimane, la seconda è stata caratterizzata da un’onda lunga, che ha raggiunto più lentamente il plateau, ha contagiato un numero di persone 8 volte maggiore in tutta Italia ed è stata seguita dalle impennate di contagi del gennaio 2021, questa molto intensa, e quella di aprile, che a Pordenone ha avuto un andamento più clemente. C’è stata inoltre una grande differenza di modalità di gestione dei pazienti: gli operatori sanitari si sono presentati più consapevoli e preparati sulla gestione del supporto ventilatorio e siamo riusciti a raggiungere un ottimo livello di lavoro d’equipe e di collaborazione fra specialisti delle Medicine, della Terapia Intensiva e dell’Unità Sub-Intensiva Pneumologica. 

Nella foto, i premiati che hanno ricevuto il premio San Marco. 
In basso a destra, Maurizio Tonizzo. 

Abbiamo avuto la possibilità di usare farmaci di supporto più efficaci, come la terapia steroidea ed il remdesivir; i medici hanno imparato a padroneggiare metodiche di terapia ventilatoria non invasiva (C-PAP; HFNC nasocannula ad alto flusso di ossigeno, casco) con grande beneficio e soddisfazione. 

Questa pandemia ci ha lasciato tanta fatica e tanti episodi di grande difficoltà professionale. L’impossibilità di mostrare il viso ai pazienti, la difficile gestione dei parenti a distanza, il dover comunicare la morte al telefono, ma ci ha anche restituito la forza del gruppo, l’importanza di gestire il paziente in modo multidisciplinare, la dimostrazione che la passione e l’amore per questo lavoro fa la differenza. 

Concludo dicendo che l’enorme sforzo che è stato richiesto a tutti noi è stato valorizzato con due magnifici ed apprezzatissimi riconoscimenti: il premio “Stella di Natale” ed il prestigioso premio “San Marco” che mi è stato consegnato il 25 aprile 2021 e che ho dedicato a tutti i miei collaboratori.

Maurizio Tonizzo