Cordovado: ancora campagna?

Pubblicato in Lettere

Alla sera, d’estate, faccio lunghe passeggiate tra le vie del paese seguendo i fiumiciattoli, i viali, sotto lo sguardo benevolo dei nostri alberi secolari, cercando di assaporare quella atmosfera di piccolo centro rurale che è stato per molto tempo, di capire quello che resta di un passato surclassato dalla modernità.

Cordovado è stata ammodernata, il suo centro storico valorizzato, ristrutturazioni di palazzi e piazze, tutto parla di una sensibilità storico-artistica di prim’ordine; eppure, quell’anima che ha visto cordovadesi illustri caratterizzare la comunità è difficile sempre più da cogliere, anni e anni di innovazioni hanno denaturato quello spirito.

È un bene? Certo, ma quando passo per piazza S. Caterina senza più la fontana originale, il distributore di benzina, il tappeto di aghi di pino a terra, senza il vocìo delle comari intente a chiacchierare mi manca qualcosa, quando vado allo studio dentistico in via Battaglione Gemona nell’ex palazzo Cappellari e guardo il palazzo Cester dove prima c’era la caserma dei carabinieri mi prende la malinconia, là nella curva Covassin non c’è più il bar Stella della famiglia Zuliani con il primo taxi di Beppi che mi chiamava “zaniciuti”, guardo l’asilo infantile del lascito Cecchini e sento flebile quel romanticismo risorgimentale che alla fine dell’ottocento ha caratterizzato quel pionierismo mecenate, mi sento più solo. Cordovado è uno dei “Borghi più belli d’Italia”, a ragione, con il suo borgo castellano, i richiami alle citazioni del Nievo, alle frequentazioni pasoliniane, con i suoi parchi verdi, il suo equilibrio urbanistico, i suoi monumenti storici.

Quando attraverso il ponticello sulla “roia” che immette nel viale della stazione allora il mio sentimento diventa struggimento, quell’ombroso, imponente tunnel di braccia chiuse sulla testa, quella selva oscura protettiva, quel rapimento silvestre dei platani scomparsi ora è una via quasi anonima, priva del suo fascino. Senza l’atmosfera di chi partiva disperato per l’estero, di chi rientrava precipitosamente per lutti o nascite, ora la luce opaca indurisce il profilo del Molino ex Variola che ne chiude l’orizzonte. Il viale si è arreso.

Niente sbuffi di denso fumo o di candido vapore acqueo nel cielo, nessun suono di fischietto da capostazione che scandisca la partenza del treno, nessuna valigia di cartone rigata dai tanti trasporti, quel tempo non c’è più.

Cordovado è unica perché ha questi luoghi, perché trasmette vibrazioni accattivanti, fremiti di umanità, spero che nel suo intimo il mio paese non perda del tutto questo richiamo assorbito dalla modernità.

Passeggio in silenzio sul selciato di sassi fluviali, biciclette veloci passano ovattate, tremula la luce dei lampioni punteggia la penombra, nel borgo castellano ecco che si fa certezza quello spirito che cercavo, l’orologio della torre nord scandisce le ore di un tempo che ho ritrovato.

Roberto Zanin