La parola “Attentato”

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La parola “attentato” risuona di frequente a partire dall’11 settembre 2001. Pietra miliare della storia recente, da cui partirono le guerre contro il terrorismo, o almeno definite tali a loro giustificazione morale, ma in realtà guerre subdole come tutte le altre, dove interessi nascosti e ristretti comportano il massacro di persone che vorrebbero solo vivere libere.

Praticamente da una quindicina d’anni noi occidentali siamo entrati in quest’ottica: quella di doverci difendere dalla minaccia terroristica andando a convertire alla democrazia e ai diritti situazioni complesse e diverse dalle nostre. Questo è successo nelle guerre americane contro il terrore e più recentemente nel grande sconvolgimento del mondo arabo denominato “primavera”.

Sembra però che a questa primavera, stagione del cambiamento per eccellenza, con la comparsa di nuovi elementi nello spazio dopo il lungo e piatto inverno, non abbia ancora fatto seguito il naturale ciclo delle stagioni, con la calma riportata dall’autunno. Anzi, da circa cinque anni il mondo arabo è in subbuglio, con una miriade di fazioni rivali (sostenute e finanziate da ipocriti stati esteri) che si fronteggiano per conquistare il potere nel giardino di casa, dove prima convivevano tutti. Cosa importa se nella conquista moriranno gli abitanti di quel giardino. L’uomo, che valore ha? Quello di appartenere ad una religione per alcuni, di essere un soldato disposto a tutto, un martire, per altri, forse invece di essere e rimanere semplicemente quello che è, un uomo prima di tutto, una vita. Ecco il caos da cui ha origine quello che ora chiamiamo “ISIS” (letteralmente “Stato islamico dell’Iraq e della Siria”). Altra nuova parola che abbiamo imparato e legato indissolubilmente ad “attentato”. Una cosa è però ricordare gli attentati negli Stati Uniti visti alla televisione, ormai abbastanza lontani, altra accorgersi che accadono tutto a torno a noi, ora. Francia, Belgio, Germania, i primi italiani uccisi e tutti quelli che hanno schivato la tragedia. Allora la paura comincia a salirti dentro e non puoi fare a meno di pensarci quando prendi un aereo. Se poi gli attentati arrivano a colpire anche un compaesano, allora la concezione del pericolo assume un’altra dimensione, molto più stretta e soffocante. Oggi hanno colpito la persona della porta accanto, domani potrebbero colpire te. La tragica morte di Marco Tondat, che era a Dacca semplicemente per lavorare, è assurda e incomprensibile. Com’è possibile che il passato non ci insegni nulla a noi uomini? Possibile che proviamo tanto gusto nella sofferenza? Che continuiamo a considerarci come formiche, dove uno vale zero? È l’evidenza di come quello che viene mascherato come religione e ideologia sia in realtà un lato belluino dell’uomo. Perché dobbiamo continuare a morire, a ucciderci? Per materia, per potere, per poi chiudere gli occhi avendo tutto ma volendo sempre di più. Perché non esiste la pace tra di noi? Per eliminare la minaccia di attentati si ucciderà ancora.

Chissà se prima o poi saremo in grado di ripudiare veramente e tutti la parola “uccidere” e la sua messa in pratica.

Josef Martin