“Alieni” tra noi

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Camminando nei pressi del lago Paker di Casette (nella foto) ho visto il cartello che parla del gambero rosso della Louisiana: una specie invasiva, “aliena”, che è arrivata anche qui a Cordovado. Le specie invasive sono organismi che provengono da altri ambienti e si installano in nuovi ambienti provocando problemi anche seri a quelli autoctoni. Queste specie sono considerate una delle principali cause della perdita di biodiversità. Tra l’altro sono anche un grande problema economico, in quanto si stima che il costo per l’economia europea (fonte La Repubblica) sia di almeno 12 miliardi di Euro l’anno per assistenza e spese sanitarie, per la perdita di resa delle colture, la riduzione degli stock ittici e i danni alle specie protette. Il problema non è semplice, e negli ultimi 30 anni gli arrivi delle specie invasive sono aumentati del 76%. In Italia, a causa delle caratteristiche geografiche e climatiche, il problema è molto diffuso: sempre da stime, vi sono oltre 3.000 specie invasive terrestri (1.645 animali e 1.440 vegetali).

Per fare alcuni esempi di specie animali che troviamo qui: la zanzara tigre, lo scoiattolo grigio americano, il suddetto gambero rosso della Louisiana, il bruco americano, o, da ultimo, la cimice marmorata asiatica. Le specie “aliene” possono essere importate in modo involontario, ad esempio tramite l’acqua di zavorra delle navi mercantili, oppure per “disattenzione”, come è successo per lo scoiattolo grigio che all’inizio è stato importato semplicemente come animale da compagnia. La complicazione è che alcune di queste specie “aliene” sono più resistenti di quelle autoctone e vanno via via soppiantandole, e a volte sono fonte di problemi, non ultima il rischio di trasmettere malattie.

Esistono soluzioni? Sì, si parte dalla conoscenza delle specie “aliene” e da questa si possono trovare rimedi. Ad esempio va ricordato un progetto di monitoraggio del mare Adriatico, iniziato nel gennaio 2013 e terminato a settembre 2016, che valuta l’impatto delle acque trasportate (e scaricate) dalle navi. A questo progetto partecipa l’Istituto nazionale di oceanografia e geofisica sperimentale (OGS) di Trieste. Dalla conoscenza si passa alla soluzione, ad esempio tramite l’applicazione del “protocollo dell’Organizzazione marittima internazionale per il trattamento delle acque di zavorra”.

Lorenzo Marafatto