L’apocalisse in Giappone

L’11 marzo 2011 è una data rimasta ormai nella storia, per il sisma più violento mai registrato in Giappone. Al terremoto ha fatto seguito un terribile tsunami, che ha raso al suolo la zona costiera di Sendai, e ha causato il nefasto incidente nucleare di Fukushima Daiichi, il più grave dopo quello di Chernobyl dell’aprile 1986. Quel giorno in Giappone si trovava anche un nostro compaesano, Simone Carlin, che ha voluto rivivere con noi quegli angosciosi momenti.

Di cosa ti occupavi l’11 marzo e in che zona del Giappone ti trovavi?

Mi trovavo in Giappone, per motivi di lavoro, già da un anno. Risiedevo e lavoravo nella cittadina di Tahara, prefettura di Aichi, nota in quanto la sua zona industriale ospita le sedi produttive di Toyota e Lexus.

Hai avvertito la scossa? Come hai reagito in quel momento?

Inizialmente non sono riuscito a distinguere chiaramente ciò che stava accadendo. Dopo i primi secondi ho iniziato a chiedermi cosa stesse provocando la sensazione di disorientamento che provavo mentre ero seduto di fronte al mio laptop; ho realizzato solo nel momento in cui ho fissato il movimento delle tende alle finestre dell’ufficio. Ho istintivamente indossato il casco e mi sono recato al di fuori della palazzina presso le aree di raccolta. Intorno a me potevo avvertire solamente il suono prodotto dal movimento delle strutture circostanti unito alla difficoltà nel mantenere l’equilibrio, fino a quando tutto è finito in un’atmosfera di completo silenzio.

Qual è stato il comportamento dei giapponesi di fronte al sisma ed alle notizie del successivo tsunami?

Il primo avviso dello tsunami è giunto qualche minuto dopo la scossa. La cosa non ha destato molte preoccupazioni in quanto l’impianto si trova all’interno di una baia protetta da una penisola. Le prime immagini che ci hanno fatto rendere conto di quello che stava succedendo nell’area costiera antistante l’epicentro, sono state trasmesse dal sito della BBC. E’ difficile definire le reazioni del popolo giapponese. La loro cultura e la loro educazione impongono una sorta di veto nell’esternare le emozioni, soprattutto in pubblico. Si aveva la sensazione di un costante “ordine forzato” e un continuo flusso di informazioni sugli eventi e di indicazioni sul da farsi.

Cosa hai pensato e come hai agito quando hai saputo dell’incidente alla centrale nucleare di Fukushima?

Ho consultato la sede e i miei colleghi che con me si trovavano presso l’impianto. La sera stessa ci siamo spostati in auto verso la città di Osaka, cercando così di allontanarci il più possibile dagli eventi, nell’attesa di poter apprendere gli sviluppi e la gravità della situazione. E’ difficile definire quello che si prova quando ci si trova “dentro” un evento del genere. Non ricordo particolari pensieri, solo un brivido. La cosa fondamentale è non smettere di pensare in maniera razionale.

Quali informazioni hai ricevuto a riguardo dalle autorità?

Le autorità locali non hanno creato allarmismi. La zona in cui risiedevo era considerata sicura in virtù della distanza “aerea” che ci separava da Fukushima. Ho sempre avuto un costante sospetto che le autorità locali stessero mantenendo qualche riserbo di troppo sulla reale situazione. Il loro controllo è cominciato a venire meno quando agenzie di stampa estera, ma anche alcuni freelance locali, hanno iniziato a divulgare informazioni più verosimili. L’aumentare costante del perimetro di sicurezza attorno alla centrale creava sempre più sospetti, come anche l’inizio della distribuzione dello iodio alla popolazione a rischio.

Come e quando hai lasciato il Giappone?

Ho definitivamente lasciato il Giappone il 14 Marzo, come previsto dal piano coordinato dalla sede dell’azienda. Il mattino ho assistito all’esplosione del reattore 3 della centrale, la più violenta rilevata. Ho lasciato Osaka la notte stessa diretto ad Istanbul, con destinazione finale Venezia.

Davide Del Re