Un tuffo nel Paker

Pubblicato in Cultura

Passeggiando da Cordovado verso il Venchiaredo lasciandomi appena rapire dal laghetto del Paker e senza ascoltare il lontano rumore del centro, obliando ogni pensiero, immagino giovani e ragazzi d’altri tempi intenti a nuotare spensierati in quello specchio d’acqua avvolto dalla natura. La guerra è appena finita e lì si riuniscono, nelle afose giornate d’estate, i giovani dal cuore impavido: tutto il loro divertimento è sentire l’acqua avvolgerli, la riva opposta conquistata, gli spruzzi goliardici e la libertà di ridere. La gioventù non ha bisogno di grandi mezzi, il dinamismo stesso scaturisce quello stato di grazia che li rende solidali, complici e amici.

Tra di loro un ragazzo più vecchio di qualche anno, di Casarsa, sembra emergere per sensibilità, per una visione acuta del vivere, per la capacità di catalizzare attorno a sé i giovani. Immagino dal bordo del bacino lacustre punteggiato da margherite il suo tuffo possente in acqua, le sue bracciate sicure e avide di spazio, così come papà Tarcisio mi ha descritto, nella gioiosa atmosfera di chiacchiericci, di grida, di pacche sulle spalle, di risate esplose improvvisamente mentre paurose gallinelle d’acqua si nascondono in mezzo alle canne fluenti e incurvate da una brezza appena percepibile.

Estati di ritrovata pace, di dignitosa miseria in anni di ricostruzione, di speranze in un futuro migliore, di slancio economico appena iniziato. Rimangono a terra le biciclette buttate nell’erba, le magliette appese ai rami d’acacia, le scarpe logore dalle suole bucate sono allineate alla base d’un grande platano. Il giovane ventenne di San Giovanni pronuncia con nobiltà lessicale il dialetto friulano che non riduce a vulgata rurale ma lo eleva sottolineando la purezza della sua origine, la sua spontanea appartenenza alla cultura semplice, diretta, schietta che è quella contadina.

(Foto Claudio Stello)

Mi incammino oltre inseguito nel mio andare da vigne e da campi di mais, dalla vegetazione della nostra campagna, raggiungo la fontana di Venchiaredo là dove Ippolito Nievo riconosce il sito simbolo degli incontri poetici, bucolici, amorosi, una sorte di salottino agreste, un unicum spazio-temporale dove è la olla risorgiva a dare musica, a creare atmosfere oniriche. Mi siedo e fisso il blocco di pietra bianca con incise le parole tratte dalle “Confessioni di un italiano” e chiudo gli occhi mentre nel vento sembra arpeggiare un fl auto e le vibrazioni diventano parole, sommesse ma udibili: “Limpida fontana di Venchiaredo […] Ai miei piedi, nel basso prato, l’acqua rampolla, e lenta fugge; e interminabile ricompone il suo canto più lontano. A me quell’onda canta […]”.

Ancora la voce di quel ventenne di San Giovanni, ancora il suo sguardo si fa poesia, proprio qui alla fontana di Venchiaredo, in questo angolo che sembra fondere pace, serenità, equilibrio e un pizzico di misticismo. Il 2022 è il centenario della sua nascita: di quell’intellettuale raffi nato, quello scrittore pungente, quel geniale regista che è Pier Paolo Pasolini.

È un’occasione per condividere la sua vicinanza al nostro territorio, un orgoglio averlo avuto così vicino in quegli anni e così lontano dal comune sentire sociale, influenzati da perbenismi, da pregiudizi che non tenevano conto del suo spessore di intellettuale. Mi alzo proprio mentre un merlo irriverente vola con un enorme verme nel becco su un alto ramo d’un pioppo secolare che sovrasta la fontana e il mio pensiero va al fi lm Uccellacci e uccellini del grande maestro di Casarsa e mi lascio cullare dal ricordo, un territorio quello di Cordovado che ha il fascino della poesia.

Roberto Zanin