Note sulla siccità

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Siccità, cicloni, violente grandinate, alluvioni e altri eventi meteorologici un tempo rari si fanno sempre più frequenti e distruttivi anche alle nostre latitudini.

Dati e serie storiche relativi a questi fenomeni sono di grande importanza per la comprensione dei mutamenti passati e presenti nella biosfera terrestre. Ma la sola esposizione di numeri, statistiche e spiegazioni chimico-fisiche degli eventi considerati, senza individuarne le cause e ragionare su possibili rimedi – tali da non risultare inutili o peggiorativi di una situazione già critica – rischia di diventare uno sterile elenco di nozioni che del problema in sé dice poco o nulla ed ostacola una sua reale comprensione. Se è ovvio che temperature mediamente sempre più alte, precipitazioni scarse e concentrate in brevi periodi, scioglimento di ghiacci e nevi perenni siano tra le cause dello stravolgimento dei cicli dell’acqua e delle funzioni degli ecosistemi dai tropici ai poli, essi sono allo stesso tempo degli “effetti”.

Ma non effetti di un accidente del destino, né di una “natura” improvvisamente “impazzita”, né l’azione di una confusa quanto onnipotente lobby segreta, ma effetti dell’attività predatoria e distruttiva dell’uomo su quasi tutti gli ecosistemi del pianeta, soprattutto a partire dalle prime due rivoluzioni industriali del sistema economico capitalista. Sebbene continui ad essere in voga, per darsi un contegno, per malafede o buste paga più rotonde, affermare che “queste cose sono sempre successe”, l’andamento delle temperature negli ultimi 1000 anni, la frequenza e l’intensità di fenomeni meteorologici intensi e la loro relazione con l’aumentare dei prodotti di scarto (non solo gassosi, non solo CO2) del sistema di produzione e consumo dell’economia di mercato, non lasciano dubbi a qualsiasi buon senso. Riguardo i lunghi periodi siccitosi, ad aggravare il problema concorrono decennali prelievi di acque superficiali e profonde da parte dell’agricoltura intensiva, dell’industria e del turismo di massa (ad es. l’acqua necessaria al turismo balneare o all’innevamento artificiale in montagna, dove a bassa quota non nevica più da anni).

Rispetto agli enormi consumi e sprechi di cui sono responsabili questi settori, lo “scaricabarile” istituzionale che invoca sanzioni contro un presunto uso eccessivo dell’acqua in ambito domestico e se la prende, come nella nostra regione, con i pozzi artesiani, appare piuttosto ridicolo, un po’ come imputare alle stufe a legna l’inquinamento dell’aria nella pianura padana. Anche chi scrive chiude il rubinetto quando l’acqua non gli serve, ma non penserà mai, se bagna l’orto o si lava con l’acqua del pozzo, di avere la stessa responsabilità di un’acciaieria, un villaggio turistico o un allevamento di migliaia di capi.

Guardare agli effetti delle alterazioni causate dall’uomo da un punto di vista solamente tecnico, senza pensare di intervenire sulle reali cause, è un approccio superficiale e pericoloso che porta a un continuo tappabuchi, una corsa a trovare soluzioni tecniche a sintomi che “tecnici” non sono. Ciò che ora è evidente a tutti sono i risultati di decenni di progresso tecnico-scientifico dissociato dall’uomo e dal suo ambiente ed è miope pretendere che a risolvere le sue “storture” con sempre nuove “innovazioni” tecniche sia lo stesso sistema che le ha pensate e create. Esempio di “soluzione” che aggrava il problema è l’ipotizzato scavo di bacini idrici artificiali nelle campagne per l’irrigazione in periodi siccitosi.

Dopo la distruzione del 70% delle aree umide d’acqua dolce sul territorio europeo dall’inizio del ‘900, oggi si pensa al pompaggio dalle falde sotterranee profonde (non acqua che cade dal cielo) per riempire bacini estesi ettari e profondi diversi metri. Questo causerà ulteriore abbassamento e svuotamento delle falde, a discapito di tutti gli usi diversi dall’agricoltura industriale a grande e grandissima scala.

Lo stesso vale per la cosiddetta “agricoltura 4.0”, l’“agricoltura senza contadini” dei sensori da remoto, dei software e algoritmi di intelligenza artificiale per ottimizzare l’irrigazione, un’agricoltura sempre più bisognosa di energia e materiali da ogni parte del mondo, la cui estrazione, raffinazione e assemblaggio richiede, tra l’altro, enormi quantità di acqua, che diventa poi refluo inutilizzabile a causa della concentrazione di acidi, solventi e metalli pesanti al suo interno.

Un approccio rivolto alle cause dovrebbe mettere in discussione in toto le monocolture intensive – di qualsiasi varietà coltivata – responsabili in Italia del 54% dei consumi totali di acqua, le industrie inutili e nocive, un turismo che è stato imposto in territori non in grado di sopportarlo se non importando tutto il necessario alla sua esistenza da territori lontani; ripensare a quali alimenti e a come vengono prodotti localmente e alla scala a cui sono distribuiti. Pensare di prolungare infinitamente l’attuale modello di produzione, consumo ed estrazione di risorse in ogni parte del pianeta proponendo qua e là misure palliative, non potrà che accelerare l’attuale crisi ecologica e sociale.

Davide Roviani